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Perché correre è bello

Come mai è bello correre? Non mi riferisco ai benefici (in particolare alla maggiore efficienza generale), che si ottiene a breve o a media scadenza dal fatto di praticare regolarmente jogging. E neppure alla soddisfazione intima che deriva dal fatto di essere riusciti a percorrere con le proprie gambe tratti più o meno lunghi, magari in un certo tempo o al fatto di aver corso in un ambiente, in mezzo agli alberi o in riva a un lago. Intendo parlare di quelle sensazioni di piacere per il corpo e per la mente che si avvertono mentre si sta correndo, di solito non nei primi minuti, ma solamente dopo che si sono percorsi alcuni chilometri.

Quando si trattò di dare un titolo al mio libro, mi parve che Correre è bello fosse il più adatto di tutti, dal momento che una delle ragioni principali per le quali corro è che, mentre sto correndo, provo appunto un senso di benessere generale; so che molti altri podisti ‒ quando hanno raggiunto un discreto stadio di allenamento ‒ lo provano, magari in forme diverse da come lo provo io. Nel momento in cui scelsi quel titolo, però, non sapevo il perché di queste sensazioni.

Ora conosco tre ipotesi e voglio parlarne brevemente.

Prima ipotesi. Nel cervello di chi sta correndo si formerebbero certe sostanze, le endorfine, che ‒ legandosi ad appositi recettori ‒ danno sensazioni di piacere che somigliano (addirittura!) a quelle che si hanno per effetto della morfina; anche altre droghe, l’alcool, il tabacco e alcuni cibi possono dar luogo alla formazione di endorfine. Secondo lo psicologo americano William Glasser queste tossicomanie negative (da droga, da alcool, da tabacco, da cibi) possono essere combattute in modo molto efficace dalla corsa che, attraverso la formazione di endorfine, dà un tale sensazione di benessere da togliere la necessità di questi stimoli artificiali; la corsa può, anzi, venire considerata una tossicomania positiva (e naturale) dal momento che appassiona a tal punto da non poterne fare a meno, ma al tempo stesso provoca sull’organismo notevoli benefici, al contrario delle tossicomanie negative che provocano danni.

Io vorrei aggiungere un’altra considerazione. Si sa che le endorfine possono avere anche la capacità di togliere il dolore; forse è per questa ragione che qualche anno fa, avendo una ferita al piede, soffrivo moltissimo mentre camminavo, ma non mentre correvo, se non nei primi chilometri. Arrivavo al termine dell’allenamento con la calza intrisa di sangue e tutti mi consideravano una specie di eroe, mentre in realtà non provavo alcun male, ma soltanto un leggero fastidio e, in alcuni momenti, neppure quello. Questo fatto (e io mi considero una persona del tutto normale per quello che riguarda la sopportazione del dolore) era rimasta un mistero per me. Così come non mi ero mai spiegato ‒ se non quando ho saputo che mentre si corre si formano endorfine ‒ come mai alcuni atleti riuscissero a correre pur avendo agli arti inferiori lesioni che normalmente sono tanto dolorose da impedire il movimento.

Seconda ipotesi. Vari studiosi si sono occupati delle variazioni ormonali che si verificano mentre si corre e hanno constato che vi è, per esempio, una diminuzione della concentrazione totale del sangue delle catecolamine, con un aumento contemporaneo della noradrenalina.

Che cosa può conseguire a questo fatto?

Credo che anche molti di voi abbiano provato a tornare dal lavoro stanchi e tesi, a indossare gli indumenti da jogging e ad andare a fare una corsa di alcune decine di minuti. Alla fine ‒ lasciando molto perplessi coloro che non sono podisti e che perciò considerano la corsa soltanto una gran faticaccia ‒ può darsi che abbiate detto qualche volta: «Oh, adesso sì che mi sento bene, mi sento fresco e riposato; prima ero stanco morto, ma quella corsetta mi ha messo a posto, mi ha fatto proprio bene».

In questi casi è probabile che la corsa abbia fatto appunto diminuire il tasso di adrenalina nel sangue e abbia fatto leggermente aumentare quello della noradrenalina. Ciò ha neutralizzato i sintomi fisici dell’ansia, della tensione psichica, e ha dato calma e rilassamento anche alla mente.

Qualcuno, poi, mentre corre e subito dopo, ha una certa dose di euforia, ben maggiore di quella consueta; c’è chi di solito è un po’ depresso, e che correndo diventa allegro e ciarliero. In questi soggetti è probabile che nel sangue ci sia stata una notevole scarica di noradrenalina e di qualche ormone.

Terza ipotesi. Mentre si corre, può darsi che il nostro cervello abbia un certo tipo di attività elettrica: se facessimo l’elettroencefalogramma, vedremmo che in alcuni momenti le onde registrate sarebbero del tipo alfa, cioè onde sinusoidali con una frequenza compresa fra gli 8 e i 3 cicli per secondo. Di solito le onde alfa si hanno quando ci si è appena svegliati o ci si sta per addormentare, oppure quando si fa meditazione trascendentale, training autogeno, zen o analoghe discipline di rilassamento psichico (quando si è svegli e si ragiona o si osserva qualcosa, le onde registrate sono di tipo beta: quando si dorme invece, sono solitamente di tipo delta o teta).

Io che pratico training autogeno e dinamica mentale, e che quindi capisco quando il mio cervello và in alfa, credo proprio che questo succeda anche nella corsa, non all’inizio, ma dopo alcuni minuti o alcune decine di minuti dall’inizio dell’allenamento. Per il cervello si tratta di una condizione senz’altro piacevole: anche per il corpo ne derivano effetti positivi.

Quale delle tre è l’ipotesi giusta? A questo punto la domanda più ovvia è: a quale delle tre ipotesi si deve credere?

Io ritengo possibile che tutte e tre le ipotesi siano vere e che possano coesistere, magari con sfumature diverse da caso a caso. Credo, del resto, che il benessere che prova chi sta correndo, sia diverso da un individuo e l’altro:

   ‒ in alcuni può prevalere una sorta di piacere cerebrale (da endorfine);

   ‒ in altri c’è più che altro euforia (da noradrenalina);

   ‒ in altri ancora predomina l’estasi (da onde alfa);

   ‒ in alcuni, infine, non c’è nessuna delle tre componenti; costoro possono però apprezzare gli altri vantaggi delle corsa e, quindi, possono anch’essi essere convinti del fatto che correre è bello.

ENRICO ARCELLI

L’AUTORE Enrico Arcelli (1940-2015), nato a Milano, sposato con Angela Begnis, padre di due figli, si è laureato in Medicina e Chirurgia e conseguito tre specializzazioni: Medicina del Lavoro, Scienza dell’Alimentazione e Dietologia e Medicina dello Sport. Ha praticato l’atletica leggera (a 45 anni ha corso la maratona in meno di 3 ore), medico sportivo, ricercatore scientifico, responsabile nazionale del mezzofondo, del fondo e della marcia nella Federazione Italiana di Atletica Leggera. È stato preparatore atletico di squadre professionistiche per 24 anni; poi è stato consulente della Juventus, del Chelsea e del Milan. È stato consulente di campioni come Merckx, Moser, Tomba, Manuela Di Centa, Alesi e altri ancora, per un totale di oltre 20 tra vincitori di Olimpiade, campioni del mondo e primatisti mondiali. Ha insegnato all’Università di Siena e all’ISEF di Firenze. Giornalista pubblicista, ha scritto su Il Corriere della Sera, La Gazzetta dello Sport, Correre, Scienza e Sport. Ha pubblicato 23 libri, tra cui: Correre è bello, Calcio oggi calcio domani, Che cos’è l’allenamento, Magri & forti, Correre la maratona, Il nuovo correre è bello, La maratona. Allenamento e alimentazione.

Enrico Arcelli

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