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Ivana Di Martino: «Correte con me per preservare il futuro del pianeta»

Ivana Di Martino da 10 anni si misura in imprese di ultramaratona per sensibilizzare sui temi caldi della società, dalla violenza di genere ai diritti dei bambini. Ora è in partenza per la Norvegia dove il suo impegno è per la Terra. E noi potremo “accompagnarla”.

Oltre 320 chilometri da coprire, correndo, in quattro tappe, l’equivalente di due maratone al giorno. Li percorrerà per In Extremis, dal 4 al 7 luglio, in Norvegia, Ivana Di Martino, 53 anni, l’atleta milanese che da 10 anni coniuga il suo amore per la corsa e per le imprese sportive fuori dall’ordinario con l’impegno sociale.

Ivana di Martino, la runner attivista

Lei è una “sportiva attivista”, insomma, e la sua prossima sfida parla chiaro: ora a tempo quasi scaduto, dobbiamo fare tutti qualcosa per ridurre l’impatto del cambiamento climatico sul Pianeta. Ivana, chi è un atleta ultra runner?

«È chi percorre in una sola gara più dei 42 chilometri e 195 metri della maratona, la distanza per eccellenza. C’è chi ne completa 60, 70, 80 perfino 100 al giorno. Poi ci sono anche competizioni da 300 chilometri, a tappe naturalmente».

Quando è diventata ultra runner?

«Ho cominciato a fare atletica a undici anni, ero mezzofondista, e ho partecipato anche a gare internazionali. Poi ho preferito alleggerire l’impegno sportivo, per continuare gli studi fino alla laurea.Nel frattempo, dopo i 18 anni, ho cominciato ad allungare le distanze, facendo maratone e mezze maratone. Per me la corsa è sempre stata la via per trovare nuove energie, valutare e affrontare i problemi con un diverso grado di lucidità. Ed è lo strumento che mi ha permesso di ritrovare la forza nei momenti più complicati della mia vita».

Ivana Di Martino da 10 anni si misura in imprese di ultramaratona per sensibilizzare sui temi caldi della società.

Sport e una causa per cui battersi

Quando è passata a unire all’impegno sportivo quello sociale?

«La mia carriera atletica è proseguita con regolarità attraverso la laurea, in psicologia sociale, l’assunzione in una azienda, il matrimonio, le gravidanze. Dopo la nascita della terza dei miei figli, Caterina, a quarant’anni, si è verificato un problema cardiaco che mi ha imposto uno stop di due anni e per cui ho avuto bisogno di un’operazione. Quello è stato un periodo molto duro per me, che nella corsa trova libertà e energia mentale.

Ne sono uscita quando sono riuscita a prospettarmi un obiettivo: entro un anno riuscire a girare tutta l’Italia correndo. Presa la decisione, mi sono licenziata, e ho dato forma al progetto che nel 2013 mi ha visto correre 21 mezze maratone attraversando tutte le regioni italiane a sostegno della associazione Doppia difesa che combatte la violenza di genere.

Non è stato per niente facile trovare gli sponsor per la mia impresa, l’idoneità sportiva mi è arrivata 15 giorni prima della partenza, ma sono riuscita a completare il progetto e a far parlare del problema della violenza di genere un po’ ovunque in Italia. Mi sono “attaccata ai social” e ho scritto a tutti i sindaci delle località toccate dal mio percorso per far conoscere l’iniziativa e invitare chi lo desiderasse a unirsi a me nella corsa. Credo che la partecipazione attiva aiuti a sentirsi coinvolti, a impegnarsi molto più di quanto accade se ci si limita a far partire una donazione dal cellulare.È questo coinvolgimento che cerco per ogni mia impresa. Anche per In Extremis».

Come sceglie le cause per cui battersi?

«È il mio modo di reagire alle situazioni rispetto alle quali mi sento altrimenti del tutto impotente. Nel 2014,ho portato a termine per Terre Des Hommes l’impresa Running for Kids dal centro di accoglienza di Catania a quello di Milano. Anche in quell’occasione 21 tappe toccando tutte le regioni italiane per sostenere i diritti dei bambini migranti in Italia. Per invitare l’Europa a combattere la povertà alimentare, che nel 2016 riguardava 23 milioni di minori in Europa, sono arrivata in 13 giorni da Milano fino a Bruxelles appoggiando il Banco Alimentare.

In Extremis, una nuova impresa

Perché la sua imminente impresa si chiama “In Extremis”? E come si partecipa, questa volta?

«Correrò due maratone al giorno spostandomi da Alta a Capo Nord, in Norvegia,per sollecitare a prendere misure drastiche contro il rischio ambientale che ci minaccia e che quasi non è più possibile evitare. Andando sull’app Strava si possono mettere in comune i chilometri che ognuno vuole donare per colmare i 3500 chilometri che separano Milano da Alta. L’impresa ha il patrocinio del Comune di Milano e si partecipare anche donando un albero alla “foresta virtuale” che vogliamo realizzare assieme a Treedom ( treedom.net) e che sarà piantata in vari Paesi».

Come raggiungerà Alta?

«Sarebbe bello rispondere che ci sposteremo tutti in treno. Ma chi mi segue – fisioterapista, autista, chi mi accompagna lungo il percorso in bicicletta etc, insomma il mio team è composto da gente che fa altri lavori e non può prendere troppi giorni di ferie da destinare al viaggio. Io probabilmente andrò in treno. Lo stesso problema si presenta per spostarsi in Norvegia: serve un’auto grande, perché la fisioterapista deve avere lo spazio per sottopormi ai trattamenti muscolari necessari dopo la corsa. Non è detto che si riesca a trovare un mezzo elettrico di queste dimensioni. Poi certo sarà un’impresa dove non useremo nulla di plastica. Ma la sostenibilità è un traguardo complesso da raggiungere. Fosse facile, non saremmo in questa situazione».

Ivana di Martino: nessuna noia mentre si corre

Quanto tempo ci vuole per preparare una prestazione atletica come questa?

«Se partecipo a molte gare, come in questo periodo, mi alleno preparando quelle. Altrimenti servono 6 mesi. C’è da dire che io non corro contro il tempo, salvo eccezioni, e questo è un problema in meno da affrontare. E poi mi aiuta rispettare il mio passo di non fatica: se riesco a fare 10 chilometri in 55 minuti non mi stanco».

Come passa il tempo mentre corre?

«Non ascolto mai la musica. Intanto perché in gara la musica in cuffia è considerata doping psicologico, in quanto rende meno sensibile la mente allo sforzo fisico. Poi, la musica attutisce i rumori dell’ambiente esterno, e io, dopo aver subito una violenza alla fine di un allenamento nel 2014 a Milano, sento più che mai l’esigenza di essere vigile a quanto mi circonda. Ma non mi annoio mentre corro. Un po’ mi cimento in complicati e un po’ astrusi calcoli matematici. Oppure penso a un anno, e provo a far riaffiorare tutti i ricordi legati a quella data. L’altro ieri ero concentrata sul 1982 e mi è venuta in mente, tra le altre, l’immagine di Pertini durante la finale di Coppa del mondo di calcio vinta dalla Nazionale Italiana che si alza in piedi di scatto e si riallaccia la giacca che gli si era aperta nella foga. L’avevo visto in tv».

Come ha reagito all’aggressione?

«Sotto il profilo psicologico mi sono fatta aiutare da una mental coach. Ho partecipato al percorso di sostegno che la clinica Mangiagalli di Milano propone alle donne vittime di violenza ma ho capito di avere bisogno di altro. In quel momento non ero nella condizione di ritornare sull’accaduto per liberarmene, come mi si consigliava, ma avevo l’esigenza di proiettarmi nel futuro. Cosa che ho fatto con questa professionista. Da lì ho approfondito gli studi ed oggi anche io sono una professionista del coaching. Siccome la corsa è il mio canale privilegiato d’espressione ho tradotto poi il mio desiderio di passare dal buio della violenza alla luce della resilienza in un’impresa di 700 chilometri, ReXistRun, in otto tappe dal buio alla luce, cioè dall’Ovest di Ventimiglia, all’Est di Muggia. È stato forse il percorso più faticoso di tutti, ma è stato anche un itinerario di rinascita e di perdono».

Quanto porta in gara della sua competenza da coach?

Ho imparato a visualizzare un’immagine e utilizzo tutti i cinque sensi per rendere questa “visione”sempre più chiara e darle la forza di realizzarsi. La corsa del resto è una sorta di meditazione, io mi ripeto una certa frase e poi riesco ad arrivare all’obiettivo. Dopo i primi 50 chilometri il fisico ti abbandona: anche se sei molto allenata, ti fa male dappertutto. Se sopporti la fatica devi andare oltre, arrivarci con la mente. E negli ultimi 5 chilometri serve il cuore, l’unico che ti indica: devi arrivare lì».

LUISA BRAMBILLA                                      www.iodonna.it

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