La mia Spartathlon di Giulia Ranzuglia
Provo a raccogliere qualche pensiero sulla mia recente partecipazione alla Spartathlon, un’ultramaratona di 246 km (D+ 3.000m) che, dal 1983, si svolge ogni anno e che collega Atene a Sparta.
Sogno di tanti ultramaratoneti, è una corsa che “fa sudare” fin prima di essere ai nastri di partenza. Già il fatto di esserci, infatti, presuppone in parte meriti (l’aver già corso determinate gare e distanze qualificanti) e in parte fortuna (il ballottaggio tra tutti gli aspiranti partecipanti in possesso dei requisiti richiesti). Ecco, quindi, che la mia Spartathlon è iniziata una sera di metà marzo, quando ho saputo del sorteggio del mio nome. Gara partita, figurativamente a marzo e conclusasi lo scorso 1° ottobre con l’arrivo ai piedi dell’emblematica statua di Re Leonida nella piazza di Sparta. Anche se forse, una gara così, non si conclude mai definitivamente ma continua a far parte del nostro essere indelebilmente.
La preparazione
Corro dal 2010 e in questi anni ho completato circa 350 tra maratone e ultra. Sono una fervente sostenitrice della corsa vissuta con “leggerezza di spirito”: corro per stare bene, per decomprimermi da una quotidianità che, come per tutti, sta diventando sempre più complessa e per avere un’alleata contro la perenne lotta con l’impietosa bilancia! Leggerezza di spirito che però non vuole assolutamente dire “superficialità”, perché nella corsa, come in qualsiasi altro obiettivo, la certezza è che nulla si improvvisa e nulla accade per caso.
Ecco, quindi, che mi sono approcciata alla Spartathlon con ovviamente una preparazione delle gambe (tra le mie amate colline marchigiane in primis e poi con varie gare con gli ormai tantissimi amici podistici in giro per l’Italia), ma anche con un’analisi puntale della gara e delle sue criticità.
La Spartathlon può infatti essere considerata una gara “terribile” dal momento che, oltre al tempo massimo totale di 36 ore, prevede 75 cancelli orari, precisamente e severamente fatti rispettare al secondo e che non concedono le così dette “grosse crisi” soprattutto per chi, come me, sa di partecipare a queste gare nelle retrovie ambendo a chiudere, se tutto va bene, entro il tempo massimo.
Analizzare i tempi di percorrenza tra cancello e cancello, i relativi ritmi ed eventuali criticità nel percorso è stato dunque fondamentale al fine di affrontare in modo quasi scientifico la gara. Avere come fedele compagno di avventura il foglietto con la stampa dei principali punti di riferimento, è stato per me fondamentale insieme ad aver messo per iscritto quello che ho assunto a mantra del mio viaggio “Vai avanti sempre!” arricchito poi da un provvidenziale “Good Luck” regalatomi da una bambina a un ristoro (in foto).
Concentrazione e consapevolezza
Sono probabilmente queste le due parole che sintetizzano questo viaggio di 246 km e 35 ore.
Ai tanti Amici che mi sono sempre stati vicino prima della gara e che mi chiedevano come mi sentissi, continuavo a rispondere:
La testa e la concentrazione ci sono… le gambe questo ho!
La consapevolezza fin dall’inizio di essere un “underdog” per questo tipo di gara mi ha stimolato a non lasciare nulla al caso, a costruire piano piano una concentrazione precisa e forte che non mi ha mai abbandonato in nessun momento della gara. Certo, tante volte ho pensato “ma chi me lo ha fatto fare?!” ma non c’è stato un momento in cui ho pensato di abbandonare o in cui la stanchezza o i naturali problemi che insorgono in questi viaggi fossero diventati ingestibili.
Senza fare troppi melodrammi, sono andata avanti insomma, armata dei miei piccoli obiettivi cancello per cancello stampati sul mio prezioso foglietto e della mia andatura “i piedi a papera” che nonostante sia atleticamente eccepibile mi ha spesso dato soddisfazioni
Ed, infine, ma non di minor importanza, oltre alla concentrazione mi sono fatta forza di una maturata consapevolezza. Consapevolezza dei miei limiti da una parte ma anche delle mie potenzialità. È vero ed innegabile che sono realisticamente partita con un grande punto di domanda sull’effettiva possibilità di chiusura ma allo stesso tempo consapevole e fiduciosa che me la potessi giocare. Una consapevolezza che, nel corso della preparazione mi ha insegnato ad ascoltarmi a cominciare dall’”atto di fiducia” che ho concesso al mio corpo a inizio settembre, quando nonostante diversi programmi di gare ed allenamenti lunghi per soddisfare lo psicologico bisogno di accumulare distanza, ho deciso di tagliare drasticamente il kilometraggio ed assecondare un corpo che sentivo troppo stanco e spossato e che, alla fine, ha recuperato a dovere.
Il viaggio
Alle 7 in punto di sabato 30 settembre 2023 siamo partiti dai piedi dell’Acropoli ad Atene in direzione Sparta. Un clima fresco ed un cielo coperto mi hanno accompagnato fino al primo cancello principale, quello della distanza maratona a Megara raggiunto in 4 ore e 21 minuti, qualche minuto prima rispetto a quanto avevo inizialmente preventivato (su un tempo massimo consentito di 4.45). Acqua, sali e qualche biscotto fin da subito per abituare lo stomaco e prepararlo ai km futuri. Dopo una breve pausa ed un breve riposo delle gambe continuo in direzione Corinto dove mi aspetta uno tra cancelli più “iconici” – 80 km in 9 ore e mezza massimo. Ci arrivo in linea con la mia tabella di marcia in 9 ore che mi dà qualche minuto di tempo per recuperare una borsa che avevo lasciato con altri sali minerali e snack vari e un breve riposo. Nel frattempo, continuo a fermarmi ad ogni ristoro/check point per acqua, coca cola, qualche patatina e del prezioso ghiaccio dal momento che la temperatura, nel frattempo, è salita ed il sole appare sempre più spesso tra le nuvole. Forte dei preziosi minuti di vantaggio sui cancelli, continuo verso l’obiettivo dei 100 km che raggiungo in 11 ore e 40 minuti (su 12 ore e 25 minuti di tempo massimo) dove recupero la borsa con l’equipaggiamento per la notte. Mi siedo, mi cambio, mi rifocillo con del buon thè caldo molto zuccherato, scambio qualche parola con le sempre gentili ed accoglienti signore del ristoro e riparto verso “la notte”. Una notte mite e abbastanza luminosa che mi fa attraversare prima Nemea antica e poi Lyrkeia in direzione “Montagna”. Il fresco della notte, il confort quasi casalingo di biscotti al pan di zenzero inzuppati in ottimi thè caldi e la sempre costante determinazione di andare avanti “sempre” mi fanno inaspettatamente accumulare piano piano un vantaggio di 1 ora sui cancelli (che nel frattempo, dopo il 100° km si sono anche per fortuna allargati) e mi ripropongo di provare a mantenere questo vantaggio che mi consente un proseguire più mentalmente rilassata. Dal km 148 si inizia a salire gradualmente fino ad arrivare, al 160° alla base della famosa “Montagna” (ascesa del Monte Partenio e successiva discesa). 2 km di salita e poco più di 3 km di discesa su terreno di montagna che, nonostante la mia goffa abilità trail, riesco ad affrontare con tempi che mi consentono di proseguire in linea con la tabella di marcia. Felice di tornare sulla stabilità dell’asfalto proseguo verso Nestani dopo una tarda nottata e prima mattinata nebbiosa e umida che piano piano lascia spazio ad un nuovo sole e agli “ultimi” km di marcia. Dopo l’ultimo cancello principale di Tegea (194° km) in poco più di 27 ore (circa 1 ora di vantaggio sul tempo massimo) la mente si sente quasi già a Sparta mentre le gambe continuano a razionalizzare che manca ancora più di una maratona! Fondamentale rimane l’obiettivo di mantenere il vantaggio di 1 ora sui cancelli, soprattutto quando la stanchezza inizia a farsi più sentire ed il ritmo si vorrebbe rilassare come i tempi di riposo ai ristori, che rimangono sempre forniti perfettamente di liquidi, solidi e, con il nuovo giorno ed il nuovo sole, del miracoloso ghiaccio. Dal 220° km si sente già il profumo di Sparta e sempre più frequentemente il suono di clacson festosi delle macchine di passaggio che ci incitano nel nostro procedere. Un incitamento che continua sempre più caloroso fino all’ingresso in città dove si aggiungono tanti applausi dai balconi e allegri saluti dei passanti.
L’iconico arrivo ai piedi della statua di re Leonida è un qualcosa di veramente difficile da razionalizzare. Ancor meno, forse, gli ultimi 100 m lungo il viale gremito di spettatori, grandi e piccoli, e degli atleti già arrivati ma entusiasticamente presenti nonostante la stanchezza. 100 m in cui si pensa veramente di volare… il momento preciso in cui si realizza che un sogno è diventato realtà.
In solitaria, ma mai sola
Sono stati 246 km e 35 ore di quasi completa solitudine. Tanti, ovviamente, i saluti e i “come va?” con altri partecipanti, ma il trait d’union è sempre stato un avanzare in solitaria, nel proprio ritmo e nel proprio fluire. Fin dall’accettazione della partecipazione avevo anche perentoriamente (e forse anche testardamente!) deciso di correre senza crew di assistenza, preferendo avere piena responsabilità di qualsiasi esito avesse avuto la gara.
Ma tutto questo, sia nel prima che nel mentre che nel dopo, senza mai sentirmi sola. Sarebbe impossibile menzionare e ringraziare i tantissimi amici che ci sono stati con tanti consigli, incoraggiamenti e con la “semplice”, ma fondamentale, presenza e pensiero. Io, da parte mia, ho messo partecipazione e concentrazione ma sono certa che nulla sarebbe potuto accadere senza quel mix di energia positiva che si alimenta dalle nostre relazioni e di cui sarò sempre infinitamente grata. Per poter, anche solo in parte ricambiare, mi auguro di saper esserci per gli altri con la stessa potenza con cui ho sentito gli altri esserci per me.
Grazie!
GIULIA RANZUGLIA