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Le motivazioni dell’ultramaratoneta moderno

Gabriele Ferretti, Humblod Fellow alla Rurh-University Bochum in Germania, ultrarunner e triatleta delle lunghe distanze, ha scritto un interessante testo dal titolo Correre e ultracorrere. Saremo tutti ultramaratoneti?, Società Editrice il Mulino, Bologna 2023. Nel libro, che non dovrebbe mancare nella biblioteca sportiva di un comune amante delle gare di lunga distanza, l’autore, con linguaggio scientifico e al contempo chiaro, sostiene che la corsa pare essere un atto estremamente pragmatico; però essa nasconde in sé aspetti esistenziali e mentali assai profondi, come è lunga la distanza da percorrere. Correre gare su ultradistanza è divenuta una forma di espressione singolare degli esseri umani dei nostri giorni. L’autore magistralmente riesce a redarre un bilancio su corsa e ultracorsa, sull’importante mutamento antropologico apportato oggi dall’ultramaratona, con le sue motivazioni biologiche, filosofiche e psicologiche, che stimolano a giungere al limite, quanti sottopongono il proprio corpo a prove durissime, sforzandosi di silenziare la mente, quando avvertono segnali di crisi. Ferretti, nel capitolo 6 dal titolo La dimensione antropologico-esistenziale dell’ultramaratona, sostiene che l’ultramaratoneta del XXI sec. è un perfetto riflesso antropologico della società contemporanea, distante dal punto di vista antropologico, culturale ed esistenziale dall’ultramaratoneta dei tempi antichi. Pertanto la pratica della corsa di ultramaratona sarebbe «un’attività figlia del nostro tempo». L’autore elenca allora alcune ipotesi, che tra l’altro possono coesistere, sulla possibile identità di tale bisogno.

1) Il bisogno di natura e di libertà. Poiché l’essere umano dell’età contemporanea si percepisce costretto in una dimensione esistenziale opprimente, l’unica fuga è affrontare un’avventura all’aperto. Insomma, correre è un mezzo di liberazione piuttosto che un ritorno alle origini ancestrali, quando l’Homo correva per necessità esistenziali: difendersi, procurarsi il cibo.

2) Conosci te stesso. Una possibile seconda ipotesi consiste nel miglioramento delle proprie abilità psicofisiche, grazie alla conoscenza di sé e degli ambienti, che comporta il praticare tale attività ultra, in modo tale che si giunge al mutamento del proprio vissuto quotidiano.

3) L’era della tecnica. Oggi viviamo nell’era della tecnica, che conduce l’essere umano a divenire un ingranaggio di una grande macchina. Allora la pratica sportiva estrema risponde al desiderio di percepirsi illimitati: il traguardo che si cerca di raggiungere è posto sempre “oltre”. Quindi «l’endurance vive dell’idea del’andare oltre i limiti: ultra».

«Se però davvero abbiamo perso il senso del limite, allora questo può sfociare in casi patologici»[1].

In definitiva l’ultramaratoneta onnipotente dei nostri giorni costituisce una figura completamente differente in confronto all’ultramaratoneta cacciatore ancestrale.

FONTE FERRETTI G., Correre e ultracorrere. Saremo tutti ultramaratoneti?, Società Editrice il Mulino, Bologna 2023.


[1] Cfr. FERRETTI G., Correre e ultracorrere. Saremo tutti ultramaratoneti?, Società Editrice il Mulino, Bologna 2023, 151.

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