La donna che corre: excursus storico
Il vocabolo donna deriva da domna, forma sincopata del lat. domina (signora, padrona) da dominus (signore, padrone), analogamente al biblico ‘iš/iššah, ed entra nella lingua italiana nel 1294. Preposto a un nome femminile, mantiene il senso lat. di qualifica nobiliare attribuita alle mogli di personaggi autorevoli o rappresentativi. Nel linguaggio comune, donna indica l’individuo adulto di sesso femminile. Nel vocabolo donna confluiscono opposte reazioni emotive socio-culturali e socio-religiose, che oscillano dall’esaltazione all’umiliazione/sudditanza. Raramente esso indica la donna concreta, nel qual caso s’utilizza il plurale. Sovente il termine evoca la condizione asimmetrica della donna rispetto all’uomo, un’asimmetria che ha radici antiche e permane nonostante le azioni positive a favore della parità. Negli anni Settanta del XX sec. comincia una riflessione propositiva sulla differenza dei due sessi. Il movimento di pensiero ha risvegliato in numerose donne il desiderio e l’impegno di crescere un’identità più profonda, rifiutando l’omologazione al modello maschile e valorizzando la propria e l’altrui diversità come risorsa. Così è sempre più condiviso il principio che l’umanità è uniduale, nel confronto e nella reciprocità di maschile e femminile.
La storia dello sport delle donne, al pari del percorso storico in generale, è contrassegnato da battaglie per il riconoscimento delle pari opportunità. Per lunghi secoli lo sport ha offerto uno spazio quasi inesistente all’universo femminile nelle manifestazioni riconosciute a livello internazionale. Alla 2^ edizione dei Giochi Olimpici del 1900 furono inserite gare per le donne. Le fonti antiche sullo sport femminile sono gli autori antichi: Pausania, Platone, Filostrato, Diogene Laerzio, Plutarco, Omero, oltre a pitture murali, bassorilievi, sculture e miniature sui vasi. Per il filosofo Platone (m. 347 a.C.), l’esercizio atletico offriva alla donna la possibilità d’intervenire con l’uomo in caso di guerra. Per la leggenda greca, la prima donna a propiziare l’attività sportiva sarebbe stata la dea Minerva. Il primo documento che cita la donna in un contesto sportivo, fu un decreto dei giudici di Olimpia, alla XV Olimpiade, circa 7 secoli a.C., il quale proibiva alle donne sposate l’ingresso nel Villaggio Olimpico. Le donne s’impegnarono di più nello sport soprattutto a Sparta, città greca ove per gli uomini serviva come preparazione all’attività militare, mentre ad Atene l’attività sportiva era soprattutto formativa. Una statuina antica raffigura l’atleta spartana Cinisca, la quale forse vinse una gara di corsa a piedi di 160m, mentre quelle per gli uomini erano di 185m (stadion). In ogni modo per le ragazze elleniche la corsa era la prova sportiva più accessibile e divenne una gara ufficiale negli Heraria, a Olimpia, come riferisce lo spartano Pausania (m. 470 a.C.). A conclusione dei Giochi maschili, a settembre, le donne greche ebbero per circa un millennio la possibilità di correre sulla medesima pista di Olimpia. I Giochi consistevano in gare di corsa, ove partecipavano prima le fanciulle, poi le donne adulte e infine le anziane. Con la decadenza della Grecia, furono i Romani a continuare la tradizione olimpica ed, essendo iniziati dagli Etruschi, furono più tolleranti verso le donne. In Cina, le donne erano impegnate, tra le attività sportive, nella corsa e nella corsa in acqua delle navi-dragone. Nell’Impero Romano, Teodosio I (m. 395), nel 392, promulgò l’editto che annullava le Olimpiadi, benché nelle zone orientali dell’Impero alcuni giochi continuarono. Ma nell’anno 520 ci fu la cancellazione definitiva, dopo ben 1.300 anni di vita. Così per circa un millennio niente sport per uomini e donne, in pratica lungo l’intero Medioevo. Finché ci fu una certa ricomparsa nei paesi anglosassoni, ma nelle feste paesane le corse erano soltanto agli uomini. Con la Rivoluzione francese, anche lo sport popolare femminile ebbe una certa diffusione. Con l’inizio delle nuove Olimpiadi moderne, alla fine del XIX sec., ci furono le rivendicazioni femminili per la partecipazione sportiva, al pari del mondo politico e sociale. Ai Giochi Olimpici del 1896 ad Atene ci sarebbero state due donne, che provarono a cimentarsi nella maratona, Melpomene, che impiegò 4h30’ e Stamata Revithi, che l’avrebbe corsa in 5h. Poi nel 1913 nasce il moderno sport femminile da un Congresso Internazionale di Educazione Fisica a Parigi. Nel XX sec., comunque ancora la corsa di resistenza era considerata inadatta alle donne. Si rammenta che Kathrine Switzer alla Boston Marathon, nel 1967, impossibilitata a partecipare, poiché il regolamento non lo permetteva, s’iscrisse, modificando il suo nome, si avvicinò alla zona di partenza mascherata da uomo e con in capo un cappuccio. Dopo la partenza gli organizzatori scoprirono la sua vera identità, ma il suo fidanzato la protesse e così la Switzer riuscì a concludere i 42,195km in 4h30’. Al di là della prestazione cronometrica, ciò costituì un notevole successo per il sesso femminile. Da allora sono stati compiuti numerosi progressi, con un significativo incremento numerico femminile. Ai nostri giorni le donne sono giunte, proprio grazie alle loro battaglie, di base e di vertice, a parificare le loro opportunità sportive con quelle degli uomini. Così alle Olimpiadi di Tokyo 2020 per la prima volta è in pareggio il conto delle specialità atletiche maschili e femminili. Mentre il debutto dell’atletica leggera femminile risale alle Olimpiadi di Amsterdam 1928, che comprendeva 5 discipline tra cui 2 di corsa (100m e 800m) oltre alla Staffetta 4x100m. Alle Olimpiadi di Monaco 1972 sono introdotti i 1.500m femminili, con il 3° posto di Paola Pigni (4’02”85”). Alle Olimpiadi di Los Angeles 1984 ci furono anche i 3.000m e la maratona, vinta dalla statunitense Joan Benoit (2h24’52”). A Seul 1988 entrano i 10.000m per un totale di 18 discipline femminili. Ad Atlanta 1996, i 5.000m sostituiscono i 3.000m per un totale di 20 discipline. A Pechino 2008 il debutto dei 3.000sp, per un totale di 23 discipline.
SEVERONI S., Corsa femminile, Roma 2023, 1-3.
Nella foto, Paola Pigni (Archivio FIDAL)