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Olimpiadi, la maratona è metafora della vita

La vittoria di Tamirat Tola, etiope, 33 anni, le regole, le crisi, l’umanità

Ha vinto Tamirat Tola. Etiope, 33 anni domani, 11 agosto, traccia su stesso il segno di croce, tagliando il traguardo della maratona olimpica: è la gara-simbolo, metafora incalzante e popolare per la vita di ciascuno. Ma anche segno “provocatorio”: a vincere – capovolgendo scale economiche e classifiche del Pil – sono sempre gli atleti del cosiddetto “terzo mondo”. Stamani 2° è arrivato il belga di origine somala Bashir Abdi (scappato dalla guerra con la sua famiglia), 3° il kenyano Benson Kipruto.

Per il nuovo campione olimpico Tola palmarés d’eccezione: bronzo ai Giochi di Rio de Janeiro nel 2016, campione del mondo in carica, ha vinto l’ultima edizione della New York City Marathon

Niente da fare per le leggende Eliud Kipchoge (Kenya) e Kenenisa Bekele (Etiopia). La maratona, proprio come la vita, ha le sue leggi. È un fatto: non è “solo” una corsa di 42,195km. Sostenendo il servizio di Athletica Vaticana tra le donne e gli uomini di sport, il cardinale José Tolentino de Mendonça e l’arcivescovo Giovanni Cesare Pagazzi – prefetto e segretario del Dicastero per la cultura e l’educazione al quale il Papa ha affidato proprio la cura dello sport – hanno tracciato un programma di allenamento spirituale che vale sia per chi i 42,195km li corre sia per chi sta dando tutto nelle grande maratona della vita. «I maratoneti sono cercatori di speranza che scelgono di non rassegnarsi al “possibile” per la loro vita e sognano “l’impossibile”» il profilo tracciato dal cardinale de Mendonça celebrando la messa del maratoneta, punto di riferimento per campioni e amatori. «La maratona è democratica, tutti possono partecipare insieme», persino sullo stesso percorso (non accade in altri eventi sportivi), «e non si corre soltanto con il corpo ma anche con il cuore: con storie, lacrime, desideri, tanta energia di trasformazione, voglia di cambiamento».

La medaglia d'oro alle Olimpiadi di Tamirat Tola

La medaglia d’oro alle Olimpiadi di Tamirat Tola

Sempre più persone, anche non più giovani, scelgono di correre la sfiancante maratona: perché? Coach de Mendonça la vede così: «Hanno un desiderio nel cuore, sono cercatori di speranza. Cercano nuove strade e le condividono, accettano sfide e sacrifici: tutto questo è al centro della spiritualità».

Stamani, a Parigi, anche per quella ripida salita “spezzagambe” non sono state poche le crisi, persino di atleti fortissimi. Rilancia il cardinale: «Ma la crisi che arriva durante la maratona, come anche nella vita, è un momento fondamentale». Tanto che «quando arrivi al traguardo, con le tue debolezze ma portato avanti dal tuo cuore, conosci molte più cose importanti di te stesso, della tua anima. La crisi è un momento di costruzione di se stessi, una scuola di umanità».

Cosa fare nel pieno della crisi? Un consiglio pratico lo propone – con il linguaggio dei corridori – l’altro coach, monsignor Pagazzi: «Se vogliamo correre bene la maratona della vita non facciamoci scappare nessun “ristoro della speranza”, sapendone cogliere l’opportunità “in corsa” e anche nella giornata più “normale”». Alimentazione e idratazione equilibrate sono fondamentali per i maratoneti, fa presente l’arcivescovo, mettendo in guardia dalla tentazione di non accorgersi dei punti di ristoro lungo il percorso della maratona e della maratona della vita. E, magari, fa notare, si finisce per saltarne uno per presunzione, confidando nelle proprie forze e puntando a recuperare qualche secondo, per poi invece essere costretti a interrompere la corsa perché senza energie. E “ristoro della speranza” «può essere il sorriso di una persona che incrociamo in metro o il gesto gentile di un collega “antipatico”». Facendo «il tifo gli uni per gli altri».

C’è tutta questa esperienza di umanità nel segno di croce tracciato su se stesso dal maratoneta olimpico Tamirat Tola.

10.08.2024 www.vaticannwes.va

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